Damon Albarn Live @ Royal Albert Hall, London, 15.11.2014

di The Wildcatter

La classifica sui miei dischi del 2014 si è conclusa. 
Mi piace molto pensare che sia stata l’occasione per far scoprire o semplicemente far riascoltare qualche buona canzone. 
Avevo iniziato la mia rubrica promettendo un “elenco ragionato ed emozionato” dei miei ascolti dell’anno. Adesso mi ritrovo a pensare che, rispetto a mettere un CD nello stereo, assistere ad un concerto è un modo ancora più coinvolgente per emozionarsi ascoltando buona musica. Ho deciso quindi di ripercorrere mentalmente le numerose serate che ho dedicato nel corso di questo 2014 ai concerti, con l’idea di eleggere il mio concerto dell’anno. Un flashback lungo un anno, che è stato molto bello fare. 
Nel 2014 ho avuto infatti la fortuna di assistere a molti concerti, forse addirittura ad un numero maggiore rispetto ai miei già non disprezzabili standard. Spesso ero in ottima compagnia: ho avuto così modo di apprezzare il fatto che condividere alcune sensazioni è un modo sano per amplificarle e viverle a fondo. A dirla tutta anche quando decido di andare da solo ad un concerto non mi sento mai davvero solo. Trovo infatti che andare ad un concerto sia un modo per mettersi in un seppur labile contatto con tutti gli sconosciuti che si sono dati appuntamento per quel determinato artista, in quel determinato luogo e a quella determinata ora. 

La scelta del concerto dell’anno è stata in realtà immediata e semplice. Ho avuto infatti il privilegio di assistere per la prima volta nella mia vita ad un concerto alla Royal Albert Hall. La realizzazione di un desiderio che avevo da molti anni. Un altrimenti insano cazzeggio su Twitter in orario lavorativo in un giorno di fine luglio mi ha dato infatti la possibilità di essere al posto giusto nel momento giusto: su internet alle ore 10.00 del 31 luglio 2014, in una virtuale prima fila per accaparrarsi i biglietti per un concerto di Damon Albarn, in uno dei teatri più prestigiosi del mondo e con la promessa di numerosi ospiti speciali. 

Il 15 novembre 2014 ero quindi a Londra
Sono convinto che molto difficilmente riuscirò in futuro a mettere in fila cinque concerti da ritenere indiscutibilmente migliori di questo: il mio concerto dell’anno non poteva quindi che essere questo evento. 

I motivi della scelta sono vari. Mi limito a dire che non trovo una delle elevatissime aspettative riposte su questo concerto che non sia stata ripagata e che faccio maledettamente fatica a ordinare i miei pensieri in modo da comporre in modo dignitoso qualche riga strettamente riferita allo svolgimento della serata. Tanta è stata la gioia per il tempo che passava così piacevolmente che anche a ripensarci ora riprovo quella stessa intensa e particolarissima sensazione di straniamento che ho percepito lungo tutta la durata dell’esibizione. Potrei quindi iniziare cercando di raccontare cosa intendo esattamente per “sensazione di straniamento”. Per provarci, devo svelare, non senza una punta di imbarazzo, che ad un certo punto del concerto ho avuto un pensiero davvero bizzarro. Ho infatti pensato che il teatro doveva essersi trasformato in una sorta di gigantesca “boule à neige”, per intenderci uno di quei souvenir che capovolgi per vedere della finta neve cadere sulla riproduzione di qualche monumento. Nella mia testa associavo la neve alla musica che proveniva dagli amplificatori e al posto del classico monumento immaginavo il palco e la platea, con musicisti e spettatori che formavano un unicum pronto a farsi pervadere molto placidamente dalla lenta caduta di ogni fiocco musicale di neve. L’intensità delle sensazioni provocate da certi passaggi sonori particolarmente ispirati, unita all’elettrizzante tensione per la sorpresa che doveva seguire ad ogni canzone, in un crescendo garantito dall’attesa di numerosi special guests, trovavano rappresentazione nella mia testa nei necessari e periodici capovolgimenti della boule, ovvero dell’unica azione che poteva garantire il continuo flusso dei fiocchi di neve. E ad ogni scossa mi trovavo a chiedermi come era possibile che l’asticella delle emozioni, già mirabilmente fissata molto in alto, potesse ancora alzarsi alla successiva performance. Sto cercando di esprimere una sensazione davvero strana, quella di essere immerso in un ovattato e al tempo stesso fragoroso entusiasmo. Mi accorgo però di non riuscirci e di risultare incomprensibile. Non sono mai stato però così contento di aver perso le parole. A mio avviso, questo dato di fatto non è altro che un ulteriore indiscutibile segno dell’eccezionale qualità della serata londinese. Forse, anche se al solito mi sono già un po’ dilungato, devo quindi rinunciare. Forse non riesco a rispettare la mezza promessa di inviare al buon Seimani la mia recensione del “concerto dell’anno”. 

Fortunatamente ho una illuminazione, spero buona: queste righe sono destinate a finire su internet, terreno di elezione dei saccheggi di opere altrui. Spero di non dare troppo lavoro all’ufficio legale di Musicanidi: ho infatti deciso di proporre qui di seguito la mia personale parafrasi dei passi salienti delle recensioni lette avidamente il lunedì dopo il concerto, sempre su internet e sempre in un momento di cazzeggio in orario lavorativo. (Meno male che non sono un lavoratore dipendente, solo a rileggere queste mie righe mi potrebbe sorgere il dubbio circa l’esistenza di una giusta causa di licenziamento nei miei riguardi, dato il ricorrere del tema del “cazzeggio in orario lavorativo”…). Di seguito vi propongo quindi questo mio collage. Solo quello messo in corsivo e tra parentesi è farina del mio sacco. 

*** 

Crogiolandosi nello splendore della Royal Albert Hall, Damon Albarn ha certamente assaporato ogni singolo momento del suo set di oltre due ore. Un sorriso attraversava costantemente la sua faccia e lui saltellava su e giù dal palco per dare un abbraccio o semplicemente toccare le mani dei fan che avevano abbandonato i loro posti in platea nel momento stesso in cui lui era apparso. Il concerto è stato molto di più di una forma di promozione del suo ultimo disco solista Everyday Robots: di fatto sono stati rivisitati molti dei molti momenti musicali della sua lunga e variegata carriera, dalle sue incursioni nella world music con gli Africa Express e dalle ambientazioni “cartoon” del side project dei Gorillaz fino alle produzioni sotto le insegne dei The Good The Bad and The Queen, senza dimenticare di attingere al repertorio della sua prima band, i Blur. Tutte le identità di Albarn erano presenti, anche se forse quella predominante era quella del giramondo, tornato dalle sue avventure per condividere quello che ha imparato. Damon è tremendamente a suo agio sul palco, un entertainer nato (e lo ha dimostrato alla grande). Certamente era a proprio agio e sicuro di sé quando si è fatto ripetutamente largo tra la folla, abbracciando i fan e rimproverando i membri della security che tentavano invano di bloccare il suo incedere verso la platea. A dispetto di uno staff della security eccessivamente zelante e che potrebbe non convenire nel giudizio, la performance di Damon Albarn si è rilevata quindi (fin dalle prime battute e in un crescendo di emozioni: sfido chiunque a trovare un calo di tensione nello sviluppo della scaletta) come una delle migliori esibizioni dell’anno. Lo show è stato costruito quasi come uno spettacolo di cabaret, alternando momenti più calmi con forsennati anthems per i quali il pubblico non poteva che andare in delirio. (In questo senso è risultata perfetta l’alternanza tra le canzoni di Everyday Robots con quelle dei Gorillaz, molto ricercata nella prima parte dell’esibizione). Ogni gesto di Albarn nei confronti della folla faceva scattare un grandioso e spontaneo applauso. Non c’è da meravigliarsi se sorrideva in continuazione. 

Proprio quando si faceva strada il pensiero che non sarebbe stato possibile fare di meglio (per quanto mi riguarda questo pensiero aveva cominciato a fare capolino già a metà della nona canzone in scaletta Sunset coming home suonata con due musicisti del Mali e che ha avuto su di me un incredibile effetto ipnotico), il chitarrista Graham Coxon ha fatto la sua apparizione sul palco per riunirsi con Albarn, come ai tempi dei Blur. La coppia ha portato indietro la lancetta degli orologi e ha suonato End of a Century con il solo accompagnamento aggiuntivo di un trombettista. (Il duo ex Blur proseguirà poi la sua rimpatriata con una per me oscurissima ma azzeccata B-side intitolata The man who left himself e con una versione strappacuori di Tender). Tale era il senso di benessere e lo spirito comunitario e inclusivo della serata che non sarebbe stata una così straordinaria sorpresa se, ad un certo punto, Noel Gallagher si fosse materializzato sul palco per duettare con Damon Albarn sulle note di Country House. (C’erano state peraltro speculazioni in questo senso nei giorni immediatamente precedenti il concerto). Dopo Mr. Tembo, eseguita con il London’s Leytonstone City Mission Choir e accolta entusiasticamente dal pubblico, è stato il momento di vedere salire sul palco i De La Soul, veterani dell’hip-hop, per una travolgente Feel Good Inc, seguita da un’incredibile Clint Eastwood, eseguita con (un per me sconosciuto) Kano. (Dopo una sequenza del genere, si riproponeva il problema già citato dell’asticella fissata ormai ad altezze siderali. E infatti, senza traduzione:) How could he top this? Facile, visto che Damon Albarn, annunciava, lui stesso quasi incredulo, l’arrivo sul palco di Brian Eno, il leggendario musicista, compositore e produttore, per suonare la conclusiva e meravigliosa Heavy Seas of Love, ancora insieme al London’s Leytonstone City Mission Choir e a Madou. È stato indimenticabile, come lo è stato tutto il concerto. 
Damon Albarn non deve più sentirsi in soggezione nei confronti delle altre leggende del mondo della musica che si sono esibite nei decenni passati alla Royal Albert Hall: ora lui è una di queste leggende.  
*** 

Non sono mai stato così sicuro di sottoscrivere una ad una le parole che qualcun altro al posto mio ha brillantemente messo in fila. Se sono riuscito a trasmettere un’idea delle oltre due ore del mio concerto dell’anno, un ringraziamento speciale va quindi agli inviati dell’Indipendent, della CNN, dell’Evening Standard e del Daily Telegraph. Solo grazie a loro sono riuscito a raccontare in modo sensato il fantastico spettacolo a cui ho assistito. Se penso alla mia non certo profonda dimestichezza con il repertorio di Damon Albarn, il forte coinvolgimento procuratomi dal concerto è ancora più incredibile. Non nascondo che durante il concerto confondevo i titoli di alcune canzoni di Everyday Robots, il disco che peraltro ho più ascoltato tra tutti quelli della variegata produzione dell’ex leader dei Blur. Non nascondo neppure la mia scarsa conoscenza dei testi anche di alcuni grandi pezzi, ormai da considerare dei classici. 
Non posso quindi certo dire di essermi approcciato al concerto come un fan sfegatato e non sono diventato tale neppure dopo il concerto. Peraltro ho superato da un pezzo l’età in cui sono ammesse certe infatuazioni musicali. Posso però dire con grande sicurezza che la sera del 15 Novembre alla Royal Albert Hall sono stato letteralmente conquistato da un artista. Ho avuto il privilegio di veder espresse, al loro presumibile massimo, le sue enormi qualità. Esse sono perfettamente riassunte in una frase troppo bella per essere rubata senza sensi di colpa: 

“few others could attract such diverse and entertaining stars to appear for one night; few others have such wonderful songs to perform, and few can engage with an audience like Albarn. No one else can do all three”. [Peter Wilkinson, CNN] 

P.S. Rileggendo l’articolo prima dell’invio alla redazione di Musicanidi, mi accorgo che il passaggio sulla boule à neige è davvero contorto e “lunare”. Parlando più seriamente di souvenir, senza però tralasciare un tono un po’ giocoso, sappiate che Damon Albarn ha sfacciatamente copiato l’iniziativa di Elio e le Storie Tese dei cosiddetti “cd brulè”, ovvero dei bootleg disponibili per l’acquisto la sera stessa del concerto. Io ho ovviamente comprato il doppio CD con la registrazione di uno splendido concerto in una splendida serata alla Royal Albert Hall!


SCALETTA 

1 Spitting Out the Demons (Gorillaz song) 
2 Lonely Press Play 
3 Everyday Robots 
4 Tomorrow Comes Today (Gorillaz song) 
5 Slow Country (Gorillaz song) 
6 Kids With Guns (Gorillaz song) 
7 Three Changes (The Good, the Bad & the Queen song) 
8 Bamako City (Mali Music cover) 
9 Sunset Coming On (Mali Music cover) 
10 Hostiles 
11 Photographs (You Are Taking Now) 
12 Kingdom of Doom (The Good, The Bad & the Queen song) 
13 You and Me 
14 Hollow Ponds 
15 El Mañana (Gorillaz song) 
16 Don’t Get Lost In Heaven (Gorillaz song) 
17 Out of Time (Blur song) 
18 All Your Life (Blur song) Encore: 
19 End of a Century (Blur song) (with Graham Coxon) 
20 The Man Who Left Himself (Blur song) (with Graham Coxon) 
21 Tender (Blur song) (with Graham Coxon) Encore 2: 
22 Mr. Tembo 
23 Feel Good Inc. (Gorillaz song) (with De La Soul) 
24 Clint Eastwood (Gorillaz song) (with Kano) 
25 Heavy Seas of Love (with Brian Eno)

12 commenti:

  1. International Musicanidi!

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  2. Damon Albarn è sicuramente una delle star dei 90 invecchiata meglio...forse che nei 90 i Blur non erano certo la cosa più eccitante in circolazione e dunque è l'unico di quell'epoca che senta ancora l'esigenza di dover dimostrare qualcosa. Comunque si sta costruendo una grande carriera.

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    1. Negli anni 90 c'era tanta roba, ma a favore dei Blur và anche detto che pure quanto fecero all'epoca è invecchiato meglio di altre cose di quel periodo. Credo che da questo punto di vista Albarn non dovesse nulla a nessuno.

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    2. I Blur erano un signor gruppo

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    3. I Blur erano un signor gruppo, ma erano anche dei signori anni, e questo và comunque messo nel conto:

      Parklife, pubblicato nel 94, altri dischi pubblicati nel 94:
      Beck - Mellow Gold
      Nine Inch Nails The Downward Spiral
      Soundgarden - Superunknown
      Johnny Cash - American recordings
      Prodigy - Music for Jilted Generation
      Portishead- Dummy
      Jeff Buckley - Grace
      Oasis - Definitely Maybe
      REM - Monster
      Pearl Jam - Vitalogy.

      The great escape 1995, altri dischi del 1995:
      Massive Attck - No Protection
      PJ Harvey - To bring you my love
      Radiohead - The bends
      Wilco - A.M.
      Yo La Tengo - Electro-o-pura
      The Chemical Brothers - Exit planet dust
      The Smashing Pumpkins - Mollon Collie &....

      cioè...



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    4. Beh, ma che significa alla fine di tutto sto discorso?

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  3. Damon Albarn dà la merda a Morandi

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    1. E vabbè, e Morandi è strafelice di essere smerdato da Albarn

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    2. Praticamente è il suo spacciatore...

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  4. Intanto Damon Albarn per recuperare la data saltata a causa del blitz jiahdista a Sydney ha fatto 2 concerti di fila in una stessa serata in un altro brutto teatro (Sydney Opera House)! anche questo è mestiere!

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    1. Hai visto mai che un musicanide sia anche lì? Si sa mai con questi cani maledetti...

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